Denis Lavant - Carax - Merde

TOKYO! Presentato a Cannes nella sezione “Un certain regard” il film a episodi “Tokyo!” diverte ma non entusiasma. Il primo episodio “Interior Design “ di Michel Gondry racconta di una ragazza che persa nella burocrazia della megalopoli giapponese si scopre del tutto inadeguata e quando anche il suo ragazzo comincia a disinteressarsi di lei comincia a subire una lenta metamorfosi, fino a trasformarsi in una sedia. In una sintesi perfetta tra Pinocchio e Tetsuo, con la poesia del primo e l’angoscia del secondo, riesce perlomeno a rendersi utile all’inconsapevole padrone di casa dal quale si rifugia. Storia semplice raccontata con delicatezza, insaporita con stupefacenti effetti grafici e piccole trovate che la rendono comunque gradevole. In “Shaking Tokyo “ di Bong Joon-Ho il solitario protagonista è affetto da una nevrosi da accumulazione. Il giovane raccoglie in particolare libri e rotoli di carta igienica e li ordina con parossistica precisione. Nelle sue rituali occupazioni, ordina una pizza alla settimana e nel rapido contatto con il corriere consiste il suo unico momento di socialità. Fotografato splendidamente e affascinante nell’algida malinconia di in una Tokyo scossa da continui terremoti che ne scandiscono una fine ineluttabile, impressionano le strade deserte (ricorda la Londra immaginata da Boyle in “28 giorni dopo”) ed un incrocio di Shibuya spettrale e silenzioso, sublime contrappasso per il crocevia più trafficato al mondo. L’angoscia del silenzio è una chiave di lettura che lega i protagonisti che faticano a comunicare se non con sistemi automatici che si richiamano alla più classica delle tradizioni cyberpunk. L’episodio centrale, “Merde” di Leos Carax è il cuore del progetto “Tokyo!”. Il piano-sequenza iniziale è memorabile: un carrello all’indietro per una via di Ginza, il quartiere dello shopping di Tokyo, inquadra una misteriosa creatura verdastra che esce da un tombino e procede a lunghe falcate urtando i passanti, mangiando carta e piante e creando il caos intorno a sé. L’essere viene catturato dalla polizia dopo aver compiuto una strage apparentemente gratuita a suon di bombe a mano e sarà imprigionato fino alla condanna. Nel frattempo diventa un eroe per molti, poi un idolo dei media, pur nella totale impossibilità di comprendere il suo arcaico linguaggio gutturale. Arduo comprenderne un senso ma sicuramente notevole l’interpretazione attoriale. Di certo fa impressione il contrasto tra la megalopoli per eccellenza e un simulacro ancestrale che vive nelle sue viscere. Forse si tratta di una memoria rimossa che talvolta ritorna e con cui si devono fare i conti, o in altri termini una sorta di homunculus che, come da tradizione alchemica, si fa carico delle pulsioni umane e dei sentimenti più nascosti dell’Homo tecnologicus. In definitiva, Tokyo! è come una slendida auto con qualcosa che non va nel motore. I tre episodi che ci raccontano alcune delle ansie della società più complessa al mondo sono impeccabili nella forma, colorati e divertenti, originali e spiazzanti e questo dovrebbe porta il film a un passo dal “vero cinema” ma ben presto l’eccitazione visiva svapora nella disorganica mancanza di corpo e di retrogusto: un vero peccato per una grande occasione mancata per un soffio.