Se la Terza Guerra Mondiale dovesse avere inizio per colpa di “The interview” sarebbe perlomeno imbarazzante di fronte alla Storia: pensiamo solo all’umiliante paragone con l’attentato al duca di Sarajevo che almeno aveva il fascino di una guerra di classe iniziata da un anarchico idealista. E la nostra generazione non ci farebbe una gran bella figura, soprattutto pensando ai musei dell’anno tremila costretti a proiettare il film come testimonianza di un’epoca e considerandolo modello di cinema dei nostri tempi.
Al di là di una produzione piuttosto imponente, il famigerato film della Sony ricorda gli imbarazzanti esempi della peggior propaganda di regime durante la Seconda Guerra Mondiale e la rappresentazione del tiranno complessato, bipolare e viziato non solo infastidisce ma rischia di rivalutarne l’immagine. La differenza tra parodia e grossolana caricatura infatti è lieve, ma sostanziale. Pensiamo alle imitazioni grottesche di Saddam Hussein in “Una pallottola spuntata”, peraltro a fianco di una impacciata Regina Elisabetta. O ai geniali pupazzi di “Team America” in cui lo stesso Kim Jong-Il organizzava una festa invitando i presidenti di tutte le nazioni della Terra in nome della pace nel mondo. In quei casi l’ironia era dominante proprio perché la rappresentazione dei personaggi era talmente eccessiva da risultarne paradossale e dunque accettabile.
(Attenzione spoiler) L’impressione di “The interview” invece è che la caratterizzazione del leader nordcoreano sia stata costruita con malcelato realismo, a partire da quanto (poco) sappiamo già di lui. E l’idea che due insopportabili sconclusionati che ricordano in stupidità Gianni e Pinotto riescano a uccidere il Grande Dittatore, dopo averlo fatto cagare addosso in diretta tv (scusate il dettaglio ma era per far capire il mood del film) disturba, offende l’intelligenza dello spettatore e, cosa ben più grave, non fa ridere nemmeno un po’.