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Dopo il primo weekend di Torino Film Festival ho l’impressione  che l’annata sia tra le più pregiate degli ultimi anni. Lo si respira nelle code, in sale sempre piene e, soprattutto, in visioni di livello medio molto alto. Ecco alcuni dei titoli più interessanti, almeno per me.

Ilegitim di  Adrian Sitaru

Un film che riporta alla mente il formidabile 4Mesi… di Cristian Mungiu, sia per temi che per stile. Scarno, realistico, cupo. L’istituzione famigliare ancora una volta scarnificata da decenni di contraddizioni politiche e sociali. Le ipocrisie vengono al pettine, come spesso accade, in una banale cena di famiglia. Ma anche noi siamo sotto processo: fino a dove arrivano le nostre idee liberali da salotto? Fino a quale limite siamo disposti a cedere sui nostri tabu? Il finale (immaginato) è da incorniciare. Voto 8

Ma’ Rosa di Brillante Mendoza

Dopo “Massacro” continua il viaggio entomologico all’interno della malavita incastonata nelle radici più profonde della società filippina. Stile documentaristico di sempre, solite visioni claustrofobiche e senza alcuna via d’uscita. I topi nel labirinto si combattono alla morte: ambulanti, piccoli spacciatori, famiglie di disperati determinano la loro sopravvivenza a suon di vendette e tradimenti. E più in alto la casta dei poliziotti corrotta e depravata domina i pesci piccoli con spietato cinismo. Un film dove i soldi puzzano così tanto da dare il voltastomaco. Da non perdere. Voto 8

Death in Sarajevo di Danis Tanović

In “Morte a Sarajevo” Tanovic trasferisce le trincee di fango dei Balcani agli eleganti corridoi di un hotel di lusso. Ma la dialettica degli opposti non cambia. Anzi, la complessità della storia della ex-Jugoslavia si arricchisce di spunti e riflessioni in un perfetto gioco di rappresentazione allegorica.

L’hotel è l’Europa di oggi. Governata dalla pallida ombra del suo fondatore simbolico, il direttore Omer(o), e servendosi di un finto documentario per rinfrescarci la memoria sulle vicende della città da un secolo a questa parte, il regista costruisce un claustrofobico sistema fatto di rivendicazioni, soprusi, patteggiamenti più o meno leciti e rivisitazioni della Storia che poco hanno di oggettivo.

Nell’hotel “Europa”, strutturato in livelli (piani) altamente simbolici, non ci sono “noi” ma solo individui che lottano per il proprio interesse, dal giornalista colto (ma infido) fino all’ultimo degli inservienti che scambia l’onore per il posto di lavoro. Piani sequenza magistrali, recitazione serrata, un pizzico di umorismo fanno il resto. Il film lascia il segno e ci lascia sottilmente inquieti. Che l’Europa unita non si riduca ad un ovattato albergo, tranquillizzato, o meglio dire anestetizzato, da un’insulsa musichetta da ascensore? Voto 7

Antiporno di Siono Sion

Per rispetto al regista, come sempre, dichiaro le (mie) parole del tutto inappropriate a descrivere i suoi film. Se volessi usare termini come “visionario”, “pop”, “postmoderno”, “magniloquente”, “spiazzante”, “grottesco”, “metafilmico”, certo potrei sfangare le solite 8 righe d’ordinanza, ma l’arte di Siono poggia su altri parametri. E qui ci porta direttamente nell’inconscio più profondo della protagonista. Forse, per dirla con Giulia Montella e Marta Evangelisti tutte le protagoniste SONO l’unica protagonista. Ognuna rappresenta una parte della sua personalità, spesso imposta dalla società maschilista in cui vive. La sua vita è il set in cui deve rappresentarsi ogni volta in maniera diversa: vittima, carnefice, dolce, e anche un po’ puttana. Un viaggio fatto di vita e di morte, piacere e dolore, lacrime e vomito il tutto vissuto osservandosi dal buco di una scatola. Voto: Perché ridurre un film di Sono Sion a un numero?

Jesus di Fernando Guzzoni

Qualcuno si ricorderà dell’argentino “Foglie” che lo scorso anno aveva colpito per la sua surreale capacità di ironizzare sulla crescita di un gruppo di adolescenti: un racconto di formazione che si fondava sul buon vecchio principio che le buone amicizie aiutano a crescere meglio … E lo stesso “Pelo malo”, film venezuelano,  il vincitore morale di un paio di edizioni fa, in cui i sogni di diventare una star della musica di un ragazzino venivano calpestati dalla assenza di valori, familiari e sociali, aveva colpito per la sua capacità di rappresentare l’universo di una generazione. In “Jesus” il regista alza il tiro su una società malata e senza speranza; unica salvezza l’etica, forse residuale ma da sostenere a tutti i costi. Un grandioso affresco da un regista che farà parlare di sé. Voto 7,5