Mi sono domandato per anni perché a nessuno fosse venuto in mente di realizzare un film da “Condominium” di Ballard. In effetti l’ispirazione del microcosmo distopico ha già avuto valenti precedenti che tutti noi conosciamo, a partire da quel “Demone sotto la pelle” di Cronenberg che più di altri aveva messo al centro la devastazione psichica e morale derivante da un sistema sociale chiuso, progettato per essere perfetto.
Ma vedendo la trasposizione ufficiale, sono risultati chiari i motivi e le difficoltà di restituire allo schermo le pre-visioni ballardiane di uno dei suoi romanzi più citati e come si dice in questi casi, seminali. Si parte alla grande, con il barocco succedersi di situazioni tipiche della visione apocalittica della ineguagliabile fantascienza degli Anni ’70. Ma alla lunga, forse per gli anni passati, avanza un senso di déjà-vu, quasi che questo film -assolutamente di valore, per carità- in realtà arrivi troppo tardi, superato dai suoi stessi nipotini, alla stregua di un nonno geniale, svegliato dall’ibernazione, che non sa più giocarsi la vita a suon di smartphone e social network.
Tutto ciò mi fa pensare nostalgicamente, che un certo tipo di fantascienza, con la quale la mia generazione ha piacevolmente, e angosciosamente convissuto, sia definitivamente defunta, capace solo di risvegliare ataviche profezie pateticamente disperse o a volte perfino azzeccate.
E allora cosa rimane di questo bel film? Una algida allegoria -questa si sempre valida- del potere, dello sfruttamento, della “balcanizzazione” come forma moderna del “Divide et impera” e, sfumatura da non sottovalutare, di come non schierarsi possa rendersi utile per sbaragliare gli attori principali del sistema. “Oltre il giardino” lo aveva detto, mimetizzarsi non può che giovare a se stessi; al sistema si vedrà.