Che film sarebbe stato il marocchino “Starve your dog” se avesse mantenuto la potenza realistica e politica del suo incipit con gli anatemi di quella donna di Casablanca talmente disperata da pregare ogni giorno che un terremoto rada al suolo il suo Paese per purificarlo e liberarlo dal suo governo corrotto. Probabilmente un’opera utile, di certo militante, che avrebbe contribuito a descrivere gli ultimi decenni di storia del Marocco, attraverso la ricostruzione degli avvenimenti che portarono all’esilio il controverso ministro dell’interno Driss Basri.
E invece, il regista si accontenta di esprimere se stesso in forma insopportabilmente estetizzata con le sue allucinazioni visive, peraltro già viste in molteplici salse, e le sue elucubrazioni artistoidi. Forse il cinema marocchino contemporaneo dovrebbe proporre qualcosa di veramente nuovo e non un’insalata di video arte, inquadrature inutilmente storte, incomprensibili sovrimpressioni.
Peccato perché il tema era assolutamente di valore, e sarebbe stato utile per comprendere il presente e il passato di un paese che spesso ricordiamo soltanto per i suoi immigrati. L’ennesima occasione sprecata, figlia del colonialismo peggiore: quello delle idee.