Il piccolo fuggitivo ė una perla nel panorama cinematografico dei primi anni 50. Per il tema intanto, ma soprattutto per scelta degli attori, per lo più di bambini e non professionisti e soprattutto per il modo eccezionalmente moderno di girare, tra inquadrature anomale e stile documentaristico che anticipa di qualche anno il new american cinema (quasi una preveggente citazione dello stile che caratterizzerá i capolavori di Cassavetes). La macchina da presa, posizionata ad altezza bambino (come non pensare al cinema di Ozu) taglia le figure degli adulti come capita solo nei cartoni animati, e quando li inquadra lo fa solo dal basso verso l’alto, con un evidente effetto distosivo oltre che con una dichiarazione poetica esplicita del regista che sceglie di prediligere il punto di vista dell’infanzia.
I bambini, dicevamo, sono i veri protagonisti, con i loro giochi cinici e inconsapevoli, le loro paure, le loro reazioni istintive che qui si manifestano in una vera e propria fuga dalla realtà e dal mondo degli adulti. Il luna park, per l’occasione lo storico parco giochi di Coney Island, da sempre nel cinema sinonimo di straniamento e fascinazione, conferma il suo ruolo spaziale perturbativo distogliendo gli angosciosi pensieri di Joey dalla falsa credenza di aver ucciso il fratello dopo uno stupido scherzo dei suoi amici più grandi. Il viaggio iniziatico del fuggitivo diventa percorso di crescita per il bambino in fuga che affronta il suo primo viaggio nel paese dei balocchi con pragmatica iniziativa e senso della sopravvivenza.
Ma il piano allegorico di una narrazione che riesce a stare miracolosamente in equilibrio tra realtà e fiaba, quasi un “Fuori orario” alla luce del sole, si arricchisce di altri simboli, per quegli anni quasi eversivi se visti nella prospettiva storica del maccartismo, che portano il protagonista a formarsi secondo i più specifici principi della società americana. Joey infatti, per la prima volta libero, viene iniziato come una intera generazione, alla violenza (l’uso delle armi è pervasivo tra travestimenti da cow boy, tiro a segno e film western) e al consumismo (il piccolo diventa in poco tempo un abile commerciante in bottiglie di coca cola usate).
Come in una fiaba tutto è bene quel che finisce bene, ma il peggio deve ancora arrivare.