Without Memory (Kioku ga ushinawareta toki) di Hirokazu Kore-Eda.
Il tema della memoria è una delle ossessioni più evidenti nel cinema di Kore-Eda fin dai suoi esordi. Il suo documentario- “Whitout memory” girato per una TV nazionale nel 1996, racconta un fatto di cronaca accaduto in Giappone. Ad un uomo in cura presso una struttura ospedaliera, a causa di una cura medica improvvisata, viene causata una piccola disfunzione cerebrale che alla fine del processo degenerativo gli comporterà la perdita di memoria a breve termine. In pratica un uomo di circa 40 anni è costretto a vivere la sua vita futura perdendo completamente i ricordi ogni 24 ore circa. Solo grazie alla famiglia, e soprattutto alla moglie che rieduca il marito aggiornandolo ad ogni nuovo risveglio, sulla sua situazione familiare e di salute, egli riesce a vivere una esistenza sufficientemente dignitosa pur in uno stato di perenne spaesamento; ma l’angoscia nel dover ripetere ogni giorno le stesse domande e le stesse presentazioni, come traspare dall’imbarazzo della troupe televisiva, è tangibile anche nello spettatore.
Il documentario precorre gran parte del cinema successivo del regista sulla teorizzazione della memoria e dei ricordi che mai come in questo caso egli declina nelle sue funzioni vitali, affettive e fondamentalmente “umane”. Ma al contrario di “Air Doll”, in “Kioku ga ushinawareta toki” si descrive il percorso involutivo inverso, da uomo ad automa, in una sorta di mutazione speculare rispetto a quella della indimenticabile bambola gonfiabile che Kore-Eda avrebbe descritto dieci anni dopo.
Dopo uno sforzo degno di Sisifo, il protagonista deve ricominciare da capo, ogni giorno; quasi come in una versione drammatica del “Giorno della marmotta” (“Ricomincio da capo” in cui Bill Murray è costretto a risvegliarsi e a rivivere in eterno la medesima giornata. Ricordare significa vivere, sembra affermare il regista, pedinando il protagonista alla ricerca assillante di piccole sensazioni nervose che gli affermino la sua identità. Fotografie, racconti, oggetti, luoghi: tutto ciò che lo circonda pare un archivio da cui attingere per abbeverare e stimolare il proprio intelletto, e al di là di ogni considerazione estetica di un prodotto televisivo, il documentario colpisce e fa riflettere come solo il cinema di Kore-Eda sa fare.