L’edizione 2015 della Berlinale per quanto ci riguarda è stata particolarmente generosa; in quantità (10 film) e soprattutto in qualità, con almeno 6 opere di assoluto valore.
E per chi volesse reperirne qualche titolo, ecco la classifica estratta dal nostro “personalissimo cartellino” che ha anticipato i film vincitori con una settimana di anticipo!
1) Taxi (leggi qui la recensione). Voto: 8 (Orso d’Oro 2015)
L’ultimo film di Jafar Panahi è una summa degli stilemi del cinema iraniano degli ultimi 20 anni con il pregio di una freschezza rara, ispirata al quotidiano e alle vicissitudini del regista. Chi ha avuto la fortuna di andare in Iran (leggi qui) non può non riconoscere il carattere della gente comune, il loro fatalismo, la loro curiosità e soprattutto il bisogno di parlare in continuazione di tutto e di tutti. Film da non perdere.
2) El club (leggi qui la recensione). Voto: 7,5 (Gran premio della Giuria 2015)
Pablo Larrain ormai è una certezza; i suoi film catturano l’anima e le problematiche della contemporaneità. A Berlino ha definito Alfredo Castro come “il più bravo attore al mondo, mio amico e mio mentore”. E’ certamente vero, ma nel “Club” di Larrain di attori stratosferici ce ne sono parecchi. Da vedere e studiare. Per la storia che racconta e per come lo fa.
3) End of winter (leggi qui la recensione). Voto: 7+
Un film intimo, posato e magnetico. Il personaggio principale mi ha ricordato Ben Gazzara in “Buffalo 66”; un uomo annoiato in pensione che vuole cambiare vita ma che produce intorno a sé soltanto una patetica aura di malinconia.
4) Zurich. Voto: 7
Zurich lascia perplessi al primo sguardo. Forse per la sua sceneggiatura spezzata in due parti ben distinta e poi invertita. O forse perché inizialmente il film appare un po’ troppo confuso. Ma la storia rimane dentro per giorni, lavora da sé, e alla fine i conti tornano.
I non luoghi in cui il film è ambientato sono il suo punto di forza: svincoli autostradali, motel e trattorie da camionisti generano luci da luna-park, caos mentale e perdita di sé, ovvero lo stato della protagonista attraverso gli spazi che attraversa. La giovane regista monta prima il “dopo” e poi il “prima”. La vita di una donna quando scopre che il compagno ha in realtà un’altra famiglia diventa puro dolore. La follia che ne deriva la trascina verso una progressiva discesa agli inferi e tutto intorno a lei si trasforma in esperienza visionaria e senza speranza.
5) La maldad (leggi qui la recensione). Voto: 6,5
La prima parte è a tutti gli effetti un documentario. Poi due grandi vecchi capovolgono la prospettiva. La storia recente del Messico è lo sfondo, e i sogni di una vita diventano protagonisti.
6) Untill i loose my breath (leggi qui la recensione). Voto: 6,5
Al di là della critica un film di pedinamento di alto livello. La Turchia si conferma potenza cinematografica di valore. Ma Emine Emel Balci non è (ancora) Nuri Bilge Ceylan.
7) K (leggi qui la recensione). Voto: 6+
Kafka + Mongolia. Abbinamento curioso che produce un film povero di mezzi ma con contenuti accettabili. Il potere che si manifesta attraverso le regole fa ancora più paura.
8) Chaiki – The Gulls Voto: 5
Di. E qui cominciano le dolenti note…
Lo ammetto, il film non sarebbe poi così male. Ma dalla cinematografia russa c’è da aspettarsi qualcosa di meglio. La trama regge seppur in larghe sacche di inconsistenza; le ambientazioni in un paesino della Republicca di Kalmykia sul mar Caspio sono ovviamente affascinanti. Peccato che la protagonista sia una ragazza più adatta a una sfilata che non alla campagna russa e che la trama poco a poco diventi un dialogo intimo e “poetico” fatto di inquadrature a misura di “giovane artista”. Gabbiani, nuvole, cieli e dissolvenze. Ma guardiamo il lato positivo. Al momento Ella Manzheeva mi pare un’ottima regista di film per matrimoni.
9) Violencia Voto: 4
Di Jorge Forero. Premesso che non possiamo pretendere che tutti i giovani abbiano capacità e originalità tali da diventare maestri del cinema, ci si chiede piuttosto con quali criteri certi film possano approdare alla Berlinale.
Prendete un pizzico di presunzione, una manciata di ingenuità, nessun attore e una abbondante dose di inconsapevolezza ed avrete il risultato. Tre episodi contro la violenza che hanno solo l’effetto di alimentare la mia rabbia. Da dimenticare.
SV) Ho tenuto fuori classifica l’unico documentario che mi è capitato di vedere in questa rassegna. “Tell Spring Not to Come This Year” – di Saeed Taji Farouky, Michael McEvoy. Più “documento” che documentario. Quasi una presa diretta dopo un anno di riprese durante i combattimenti tra Talebani e esercito regolare afghano. La guerra vera, il fango, il sangue e la morte. Non giudicabile dal punto di vista cinematografico: sarebbe perlomeno irrispettoso, ma il cinema è anche questo.