- Rivolgersi a Dio o ad altre figure sacre con la mente o con parole, al fine di implorarne l’aiuto. Ora, con tutta la buona volontà, non mi sembra che questa reazione rientri in quelle utili a cambiare lo stato delle cose. Anzi. Nei duelli, o ancor più nelle battaglie, chi sceglie il campo di combattimento ha un vantaggio considerevole. Seguire chi ti combatte con tale violenza sul proprio campo, mi sembra semplicemente un comportamento suicida. Non tanto per la appurata assenza dell’oggetto da supplicare (e se fosse anche solo imparziale, saremmo fritti), quanto perché sfido chiunque frequenti i social di turno a competere sul piano del sacrificio verso l’Altissimo con coloro che uccidono, ma pure muoiono, in suo nome.
- Chiedere a qualcuno, spesso in modo supplice, di fare qualcosa. Chiedere gentilmente cosa a chi? E soprattutto in maniera supplice? Immagino non utile, vista la totale, spietata, determinazione del nemico che abbiamo di fronte.
- Rivolgersi abitualmente a Dio con il pensiero o con le parole. Forse ci siamo. Il pregare cui si fa riferimento è semplice raccoglimento con se stessi e la propria coscienza.
Ma forse il problema sta proprio in questi termini. Affidarsi ad esistenze supposte ed esterne è il virus che ha portato questi folli a combattere; non tanto per le motivazioni finali dei loro capi che sono quelle di sempre (potere, denaro, controllo del prossimo); quanto per quello straordinario collante emotivo e motivazionale da parte di chi li guida che si chiama “religione”.
Ecco perché io non prego per Parigi. Che fare allora? Semplice, continuare a riempire i teatri, gli stadi, i centri commerciali e i luoghi di aggregazione, ovvero il vero obiettivo dei terroristi che, se mirassero ai religiosi, li combatterebbero sparando in chiesa. Contrastarli dunque con quello che non hanno, che non capiscono e che ci invidiano: cultura, curiosità, ironia, leggerezza e quel cinismo di cui siamo così inconsapevolmente dotati, e che ancora una volta, forse, ci salveranno.