Fa un po’ effetto avere tra le mani un libro scritto da Billy Wilder. Del regista sappiamo già quasi tutto. Considerato -sicuramente a ragione- uno dei registi più importanti di sempre, fu cavaliere dei generi come pochi altri (cinema sociale, di guerra, drammi e commedie, ovviamente) e dotato di luminosa e geniale intelligenza, garbato cinismo e soprattutto inarrivabile ironia.
Leggendo il bel libro edito da Lindau, ci si ritrova a bighellonare con lui nella Berlino degli Anni 20, per i luoghi che oggi conosciamo bene (il Kempinski Hotel di Postdamer Platz, Friedrichstrasse e i suoi bar ad esempio), tanto familiari, quanto diversi da quelli sconquassati dalla storia dell’ultimo secolo. Ed ė un piacere accompagnarne mentalmente la lettura con la “realtà aumentata” del cinema classico: da “Berlin Alexanderplatz” di Fassbinder a “Cabaret” di Bob Fosse; fino a “Greed” di von Stroheim descritto alla sua uscita, nel 1924, proprio dalla recensione di Billy Wilder che il libro riporta insieme ad altre, imperdibili chicche. Come la descrizione dell’amicizia con Edgar G. Ulmer, Fred Zinnemann e i fratelli Siodmak, tutti protagonisti dei decenni di cinema successivi ma, in quel periodo, semplicemente ragazzi in gamba e completamente spiantati alle prese con un film tanto raro quanto prezioso come “Gente di domenica”.
Di tutto questo, e di altro ancora, sono ricche le pagine di “Il principe di Galles va in vacanza”, un libro che non è un’autobiografia e nemmeno un saggio; non un trattatato cinematografico né una semplice raccolta di articoli (i suoi primi reportage sui quotidiani berlinesi degli Anni ’20 con cui si guadagnava da vivere). E’ piuttosto un’intima chiacchierata con una persona che in fondo conosci da sempre e che senza ancora esserne pienamente cosciente, sapeva già tutto: di sé, del suo cinema, del mondo che lo circondava e delle contraddizioni sociali al crepuscolo del nazionalsocialismo. Non “sospiri estremi” ma primi vagiti di un ragazzo che proprio dalle pagine riportate in questo libro seppe mirabilmente tradurre, per la nostra fortuna di cinefili, le sue aspirazioni in realtà.