“Per amor vostro” è un film ambizioso, colto e di uno spessore raro. Basterebbe un tweet per commentare in sintesi il film di Giuseppe Gaudino, presentato in concorso all’edizione 2015 del Festival di Venezia e premiato per l’interpretazione femminile di Valeria Golino con la Coppa Volpi, la seconda per l’attrice (come Katherine Hepburn, per intenderci) e la terza consecutiva per l’Italia.
E invece, l’opera prima del regista di Pozzuoli che fino ad oggi si era rivelato più che altro un ottimo documentarista, merita considerazioni ben più profonde di uno scarno seppur lusinghiero commento.
Il film è un piccolo viaggio nel cuore profondo del cinema: mentre scorrono le immagini è puro godimento intravedere gli spunti (“pezzi di memoria cinematografica e televisiva” li definisce il regista durante l’incontro con il pubblico avvenuto presso il cinema Nazionale di Torino) che ci riportano ai fasti del cinema italiano degli ultimi 70 anni. Penso soprattutto alla forza espressiva della protagonista che si muove tra un famiglia problematica e il sottobosco dello star system televisivo come Anna Magnani, tra “Mamma Roma” e “Bellissima”; per non parlare delle ovvie rimembranze felliniane che partono dalle citazioni iconiche delle suore -più streghe che sante- fino alle interpretazioni bonariamente critiche sulla cultura religiosa che, soprattutto al sud, sembra fatta di superstizioni, litanie e piccoli incantesimi. O a quella progressiva perdita di contatto con la realtà di Anna, a causa soprattutto di un marito volgare e violento, che vive sogni e difficoltà di ogni giorno con la tragica e a volte surreale leggerezza di una Giulietta Masina ne “La strada” o lo straniamento di una Ingrid Bergman in “Stromboli”. Proprio a partire da quella sorta di realismo visionario che Roberto Rossellini aveva sperimentato sulla sua compagna e musa del momento nel film celebre più per la sua vita privata che non per la storia del cinema, si collega però lo straordinario simbolismo che, se nel regista capofila del neorealismo veniva rappresentato dal vulcano, qui viene esplicitamente demandato al mare. Un mare iper-realistico, con delle visioni sul Golfo di Napoli che sono foriere di tragedie, spesso ineluttabili, attraverso il cupo fondale e le dense nuvole nere che vi si addensano. Ma anche traslato nell’acqua, protagonista di tutti gli incubi della protagonista: acqua invasiva, vomitata, mortifera e attanagliante, degna, nella sua portata visionaria, di un Tarkovsky o più recentemente di un Andrey Zvyagintsev (si pensi al mare color pece di “Il ritorno” o alla sua inquietante onnipresenza in “The banishment”.
Ed è proprio sul lato simbolico che “Per amor vostro” cresce come una onda che si carica in un mare impetuoso. Anna(rella), una immensa Valeria Golino, lavora in uno studio televisivo; è felice della sua occupazione, solo apparentemente di poca importanza. Il suo incarico è quello di trascrivere il gobbo, senza il quale gli attori non saprebbero ripetere una parola della loro parte. Ecco la chiave del film. Il suo ruolo, altamente simbolico, è proprio quello di porsi sempre a metà tra realtà e rappresentazione. Di inserirsi sempre (un dono? Una maledizione?) tra ciò che appare e ciò che “è”, e anche visivamente, quell’enorme cartello da cui spuntano solo i suoi occhi, non fa che creare una cortina invalicabile tra lei e i suoi sogni. Questo non si manifesta solo durante il suo lavoro. Il suo essere “medium” si esplicita anche in casa, dove traduce continuamente ciò che capita in tv al suo figlio sordomuto. E soprattutto nelle sue peregrinazioni cittadine (pedinata dal regista con una macchina a mano degna dei migliori Dardenne) quando scorge particolari e dettagli che sembrano rivelarsi a lei per prima. E perfino nei suoi ricordi, in cui rivive spesso la sua rappresentazione dell’angelo, quando le suore le urlavano di volare, dopo averla attaccata ad una fune. La sua “maledizione” sta proprio in questa capacità di vivere la realtà dietro le quinte, in una sorta di tragica consapevolezza che le fa conoscere in anticipo le strutture di un mondo in disfacimento, pura apparenza annegata in un oceano di degradazione di tutti i principi morali: amore, amicizia, professionalità e perfino familiarità più strette.
Il mondo di Anna è pervaso di sottocultura televisiva: e anche lei ne è vittima. La sua educazione sembra fermarsi a quella propinataci per anni dalla tv-caminetto voluta dalla Rai di Berbabei tra gli Anni ’60 e ’70. Spesso si interfaccia con il mondo esterno solo attraverso le canzoni del Quartetto Cetra, vera colonna sonora amaramente ironica del film; ma anche i suoi persecutori (demoni) sembrano avvicinarla solo per quel lavoro in tv che viene vissuto come una sorta di paradiso laico dove la felicità e i sogni si possono davvero raggiungere. Anche in questo caso non possiamo fare a meno di citare un film proprio di quel lungo fiume carsico post-neorealista che nacque nel dopoguerra e continua a riaffiorare di tanto in tanto. Mi riferisco a quel “Reality” tanto sottovalutato quanto grandioso dramma metropolitano di Garrone, che rappresenta la sua Napoli in maniera molto simile a quella di Gaudino: passionale certo, ma soprattutto schiava di aridi vagheggiamenti di arricchimenti facili e di gloria effimera, e il tutto rifratto da religiosità pervasiva e opprimente.
Qual è dunque il piccolo miracolo di “Per amor vostro”?
Da una parte la capacità di emulare il migliore cinema della nostra storia attraverso rimandi, sensazioni, piccoli e sapienti brividi di emozioni già vissute (pensiamo solo ai sogni degni di un Bergman o di un Bunuel; o alle raffigurazioni video artistiche che ricordano l’ultimo Greenaway). Dall’altra, quella di non dare mai l’impressione di citare (né tantomeno copiare) i capolavori del passato, ma solo di servirsene per creare qualcosa di nuovo. La capacità universalmente riconosciuta a un regista come Quentin Tarantino, è stata quella di rimescolare stilemi e rappresentare il peggio (e dunque il meglio) della cultura postmoderna, fino a plasmarne uno stile innovativo, personale e riconoscibile. A un livello più colto e raffinato possiamo affermare lo stesso per il nostro regista campano: una capacità rara, e credo seminale, che non potrà che creare emulazioni e generare nuova linfa al cinema italiano, e non solo.