Taxidermia pedalo
Tre episodi per tre generazioni attraverso la storia di 60 anni di comunismo in una sineddotica Ungheria. I temi sono tanti e fondamentali: amore, morte, cibo, patria e famiglia sono affrontati attraverso la lente distorta di un grandangolo talmente nauseante da toccare il sublime. Qui l’estetica del vomito, che Nanni Moretti dice di non sopportare, compie il suo giro e si erge a poetica del successo, non del facile trash o del gratuito gesto eversivo, ma di un totale, morale principio che affranca e regala una identità sociale.
Nel primo segmento un soldato è agli ordini di un lascivo, grottesco colonnello in un non meglio precisato avamposto. Il ciclo della vita e della morte è raccontato da una delle più poetiche sequenze degli ultimi anni con la rappresentazione di una vasca di legno, da culla a luogo di ristoro e infine bara.  Il reietto deve solo obbedire e tutto il resto gli è negato; tutto, compreso lo sguardo che è la più grave delle insubordinazioni. Mai spiare il superiore che nella sua alcova disattende a tutti i principi morali che chiede al subalterno. metafora diretta di un potere (del potere) che non può essere soggetto alle leggi ma solo impartirle.
Il figlio si evolve. Diventa campione di alimentazione veloce, una sorta di sport nazionale che consiste nel nutrirsi fino allo sfinimento e poi ancora e ancora. Sempre meglio della fame, si dirå.  In realtà la degradazione coincide con l’eroismo; i litri di vomito sono proporzionali agli onori di quello che è il massimo dei risultati possibili: arrivare secondi dietro il rappresentante dell’Unione Sovietica. Sferzante metafora-nemmeno troppo ermetica- dell’ ipocrisia che legava il sistema delle ex repubbliche d’oltre cortina alla Madre Russia.
Ma il passo definitivo verso l’evoluzione del nostro eroe, che ovviamente coincide con la nazione stessa, lo compie l’ultimo dei nati, protagonista del terzo episodio, il figlio succube dell’ormai patetico genitore campione all’ingrasso, ridottosi a crudele aguzzino nella sua immobile, mostruosa deformazione,  pari forse solo all’uomo più grasso del mondo, protagonista del “Senso della vita” da cui Palfi si ispira non poco. Il giovane è sottoalimentato per ribellione al padre ma se ne prende cura alimentandolo di cibo in scatola e dolciumi. Il processo ë concluso. il capitalismo ha vinto e rispetto ai suoi predecessori il giovane taxidermista può scegliere tra file di cibo sempre uguale.
Il finale non tradisce le aspettative e lascia di stucco. Con ben pochi richiami apparenti (Il caro estinto? The cremator?) profondamente estetico ed eccessivo, ben al di là di ogni più fantasiosa aspettativa. i corpi si fanno arte, e si riprendono ciò che la vita ha negato ai loro possessori. L’evoluzione della specie e della società raggiunge il suo culmine donatelliano  e la fecale marcitudine dei protagonisti si trasformerà per l’eternità in straordinaria, socialmente riconosciuta finalmente,  purezza formale.