Recitare, al meglio delle proprie possibilità. Zoe Tavarelli ha le idee ben chiare su come realizzare i suoi sogni e pianificare il proprio futuro. Torinese, classe 1996, figlia del regista Gianluca Tavarelli («Portami via», «Il giovane Montalbano») e della scenografa Francesca Bocca, in famiglia ha respirato cinema da sempre. Dopo quella sequenza in cui, neonata e inconsapevole, si era trovata in braccio a un maldestro Valerio Mastandrea in «Tutti giù per terra», le sue partecipazioni a film e sceneggiati l’hanno accompagnata in ruoli sempre più rilevanti; ma nonostante le occasioni, tra cinema e Tv, non sarebbero di certo mancate quel che Zoe proprio non voleva era un percorso obbligato su solchi già tracciati. Così, da circa due anni, ha scelto di iscriversi alla prestigiosa American Academy of Dramatic Arts di Los Angeles, scuola che ha formato, tra i tanti, i premi Oscar Anne Hathaway e Jessica Chastain, e il cui numero chiuso garantisce un alto livello di perfezionamento.
«Lo confesso, fin da bambina volevo fortemente impegnarmi in questo mondo e fare l’attrice era sempre il sogno più bello; anche se non faccio fatica ad ammettere di essere vissuta in un contesto familiare privilegiato. Dopo la scuola raggiungevo i miei genitori sui vari set, mi sedevo e facevo i compiti mentre attorno a me si costruiva il magico mondo del cinema che, a poco a poco, è diventato la mia seconda casa».
Perché non accontentarsi di progettare una carriera in Patria?
«Forse per testardaggine o per ambizione ho preferito mettermi alla prova; in Italia molto spesso gli attori provengono dal teatro o imparano recitando un po’ per volta. Qui le qualità richieste sono altissime fin dal primo film».
Quindi, almeno nel cinema, Usa batte Italia?
«Tutt’altro. Quando dico di essere italiana alla gente di qui si illuminano letteralmente gli occhi. Per il cinema di oggi: quello di Sorrentino, Garrone e Guadagnino. Ma anche per tutti i registi del passato che negli States sono ancora amatissimi».
Dunque non rinnega la sua Italia cinematografica.
«Per niente. Alla prova libera di recitazione per accedere all’Academy ho portato i “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, un Italiano che aveva già capito che il cinema avrebbe dominato i linguaggi del secolo successivo».
Una domanda d’obbligo. Progetti futuri?
«Naturalmente continuare a studiare. Nel frattempo ho recitato in Virginia per Davide Ferrario e a fianco di Chris Cooper, Oscar ne “Il Ladro di Orchidee”. Si tratta dell’episodio pilota di un progetto di cinema contaminato pensato per musei e gallerie. Una sorta di noir che parla di un padre che incontra la figlia che non ha mai conosciuto. Ma non mi faccia dire di più, se no Davide si arrabbia».
E qual è il cinema che ama?
«Sono onnivora. Ma se vuole un nome dico Clint Eastwood. Perché è un attore, un regista dal respiro autoriale e amatissimo dal vasto pubblico».
E fra l’altro ha raggiunto la notorietà in Italia dopo alcune piccole parti negli Stati Uniti. Un percorso che lei potrebbe fare al contrario.
«Grazie ma non è il momento di parlarne. Ora devo pensare a studiare. Ma glielo assicuro. Ci proverò fino all’ultimo respiro».